Nullità della pattuizione usuraria di interessi di mora e violazione delle norme di trasparenza ( III Sezione Civile, 13 maggio 2021, n. 12964).

Il tema dell’usura bancaria è fra i più sentiti  e, al contempo, fra i più travagliati del dibattito giuridico e sociale del nostro Paese.

Esso interessa una moltitudine, forse la gran parte, degli utenti del sistema bancario italiano, che non possiamo dire abbia mai brillato per trasparenza. Anzi, la quotidiana esperienza ed un giustificato sentire comune lo vedono avvolto da un velo opaco, dietro il quale si celano condotte arbitrarie e, sovente, illecite delle quali pagano le conseguenze i consumatori ed il sistema economico in generale.

Da quando (è ormai trascorso più di un ventennio) la Giurisprudenza ha cominciato ad occuparsi di un’altra  questione non secondaria del rapporto Banche/Utenti, quella dell’anatocismo, la posizione dominante delle prime è stata oggetto di attenzione da parte dei Giudici anche con riferimento all’applicazione dei tassi imposti che, a qualunque titolo convenuti,  come dice la Legge (n. 106/96), non possono essere usurari, non possono superare cioè la soglia prevista dalla stessa normativa, dai decreti applicativi di essa, dalle disposizioni del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio.

Nella quotidianità, purtroppo, questo principio di diritto è di civiltà viene disinvoltamente violato in maniera diretta o indiretta mercé l’illegale applicazione di oneri finanziari che non esitiamo a definire abnormi e tentacolari: interessi, commissioni, spese, valute fittizie, capitalizzazioni trimestrali, interessi attivi non riconosciuti in base ai criteri sostitutivi di cui all’art. 117 comma VII lett. A) del Testo Unico Bancario, tutti praticati in spregio alle norme vigenti e volti a generare un vorticoso aumento del debito. In queste condizioni, per il debitore sottrarsi a questa spirale diventa impresa disperata, se non impossibile.

La difficoltà, per i consumatori, a far valere le proprie ragioni su  fatti contrattali che coinvolgono soggetti  le cui forze sono, come si sa,  sproporzionatamente, incommensurabilmente diverse sono enormi,  e la mancanza di regole certe e di facile lettura da parte di tutti porta spesso i Giudici di merito  all’applicazione della Legge in maniera eccessivamente timida e formalistica, segno di quella che possiamo definire, ci si passi il termine, l’egemonia delle banche sulla società.

In questo contesto, se così si può dire, culturale, caratterizzato da un generale atteggiamento di favore della Giurisprudenza verso il sistema bancario,  accogliamo con viva soddisfazione una recente decisione della Suprema Corte di Cassazione (che pure nel corso degli anni ha assunto orientamenti ondivaghi sul tema dell’usura bancaria) che chiarisce in modo assai efficace alcuni aspetti chiave della questione relativa alla pattuizione degli interessi con la banca.

Il primo punto della decisione in esame (Cassazione civile, sez. III, 13 Maggio 2021, n. 12964. Pres. Vivaldi. Est. Cricenti) è che  la regola della usura vale anche per gli interessi di mora, che secondo un’interpretazione fino ad oggi maggioritaria dei giudici di merito, sarebbero invece esclusi dall’usura pattuita,  perché rappresenterebbero una penale per il mancato pagamento. La Suprema Corte ha  invece stabilito che essa vale sol che gli interessi vengano pattuiti, in quanto l’art. 644 c.p. qualifica come illecita la condotta di chi si fa dare, si, ma anche semplicemente promettere, interessi a tasso usuraio

Aggiunge la Corte che la sanzione della nullità della clausola  mira a tutelare il debitore, e sarebbe vanificata, come invece sostenuto dalla sentenza d’appello cassata,  se costui potesse agire per la nullità della clausola solo dopo aver corrisposto gli interessi e dunque dopo averla attuata adempiendovi. Il debitore è quindi legittimato a non pagare gli interessi di mora usurari e non solo a chiederne la restituzione dopo averli pagati.

Ma la decisione in commento non si limita a queste condivisibile e logiche conclusioni, affrontando il tema della rilevabilità d’ufficio delle regole di trasparenza bancaria  contemplate  dall’art. 117 TUB. Afferma la Corte, infatti, “Vale la regola, dunque, espressamente affermata da questa corte per le ipotesi di nullità per difetto di forma di cui all’art. 117 TUB, comma 1 (Cass. 22385/2019), della rilevabilità d’ufficio della nullità, anche essa, come quella per difetto di forma, posta a protezione del contraente. In generale, questa regola fa applicazione di quella affermata da Cass. sez. Un. 7294/2017 secondo cui il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione – e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, nè le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia – trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, ex art. 345 c.p.c.”.

La pattuizione di interessi moratori illeciti viola, dunque, anche le norme poste dal legislatore a presidio della trasparenza dei rapporti bancari, e la sua nullità è rilevabile dal Giudice d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

Le sedi di AIACE ed i legali dell’Associazione sono a Vostra disposizione per queste e per tutte le altre questioni che investono il rapporto fra i consumatori ed il sistema bancario.

!8 giugno 2021

Avv. Domenico Borgese