“Facebook non è solo una occasione ludica, di intrattenimento, ma anche un luogo, seppure virtuale, di proiezione della propria identità, di intessitura di rapporti personali, di espressione e comunicazione del proprio pensiero” e quindi la rimozione del proprio profilo senza alcuna legittima motivazione da parte della società deve essere risarcita.
E’ questo, in buona sostanza, il principio di diritto affermato dal Tribunale Civile di Bologna, in una recente ordinanza, con la quale il più noto ed esteso social network mondiale viene condannato a risarcire il danno ad un utente, il cui profilo era stato rimosso ed i suoi contenuti cancellati, dall’oggi al domani e senza alcuna motivazione giuridicamente valida e quindi legittima.
I giudici bolognesi, con questa decisione, per la verità non inedita ( altre Corti, nel recente passato si sono occupate della questione, giungendo al medesimo risultato) affermano una verità mondialmente condivisa: l’estrinsecazione della personalità individuale, attraverso la manifestazione del pensiero e la condivisione di esso con la moltitudine degli utenti di una piattaforma digitale, è la più attuale forma di partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico e lo strumento, ormai pressoché esclusivo, di diffusione delle idee. L’estromissione di un partecipante a tale dibattito, che coinvolge quello che possiamo a ragione definire il moderno villaggio globale, se avviene senza un giustificato motivo legittimo, equivale all’imposizione di una inammissibile censura, lesiva dei diritti della personalità, come tutelati nel nostro ordinamento da norme di rango costituzionale.
Cosa vuol dire tutto ciò? L’ordinanza del Tribunale di Bologna, con un apprezzabile sforzo di sintesi, delinea un passaggio epocale nello svolgimento delle relazioni interpersonali: i social network, e Facebook in particolare, rappresentano un veicolo per la circolazione delle idee sconosciuto fino a qualche tempo fa ma oggi pressoché indispensabile per farsi conoscere, prendere posizioni sui più svariati argomenti della vita sociale, far sentire la propria voce, affermare le proprie idee, intrattenere rapporti con gli altri consociati. E più è consolidata la presenza di ogni utente in questo canale di comunicazione, più estesa la rete relazionale intessuta nel tempo, più ricchi i contenuti del proprio account, maggiore il vulnus, il danno che si riceve da un’improvvisa ed immotivata cancellazione di esso e dalla dispersione dei dati immessi. Questa riflessione apre il tema, sempre più attuale e sempre più importante, della tutela della cosiddetta identità digitale, quale forma di esclusività identitaria, in grado di fornire tutte le garanzie di riconoscibilità di un soggetto rispetto ad un altro, da salvaguardare per Legge come imprinting di differenziazione, quasi fosse una forma avanzata e tecnologizzata del DNA.
Piaccia o meno, e per inquietudine che ciò possa suscitare, è questa la realtà di oggi, la nuova frontiera della conoscenza mediatica, la chiave della più efficace affermazione della propria presenza in società. Il Giudice bolognese, nelle sue motivazioni, valorizza proprio questo aspetto, laddove sottolinea come l’espulsione dal circuito del social network «è suscettibile dunque di cagionare un danno grave, anche irreparabile, alla vita di relazione, alla possibilità di continuare a manifestare il proprio pensiero utilizzando la rete di contatti sociali costruita sulla piattaforma e, in ultima analisi, persino alla stessa identità personale dell’utente, la quale come noto viene oggi costruita e rinforzata anche sulle reti sociali». Danno non patrimoniale, dunque, classificabile nella categoria del danno esistenziale, quantificato nel caso in esame in 14.000,00 euro.
Per non parlare, poi, del valore strettamente commerciale che tale presenza può rappresentare per imprenditori, aziende, professionisti, associazioni e via discorrendo, per i quali la cancellazione rappresenterebbe anche un danno a carattere patrimoniale.
Il principio giuridico ribadito nell’ordinanza del Tribunale di Bologna ha, dunque, un duplice valore: da un lato individua nel comportamento di Facebook una violazione di legge, un illecito che va oltre una comune violazione contrattuale (non dimentichiamo che aprire un account sociale equivale a sottoscrivere un contratto con obblighi reciproci), dall’altro afferma la piena risarcibilità del danno derivante da tale comportamento contrattualmente scorretto, messo in atto dal maggiore colosso mondiale della comunicazione di massa, attraverso la società che controlla le sue attività in Europa, Facebook Ireland limited, contro il quale- evidentemente- nei sistemi democratici in cui vigono le regole dello stato di diritto, l’ordinamento mette a disposizione dei cittadini adeguati strumenti di tutela.
AIACE ed i suoi esperti sono a Vostra disposizione per sostenervi anche in queste battaglie.